Artemia Nova Editrice
Nove son le colonne due le stelle
Nove son le colonne due le stelle

Nove son le colonne due le stelle

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CARLA  LA  SANGUINARIA
Presenza fantasmatica, furoreggiava perennemente ululante nella notte in zona lungotevere lato Regina coeli; il suo andirivieni e il suo plateale inveire alle macchine in corsa, si placava solo alla conclusione del periglioso contrattare della prestazione; e d'amblée… il Giano bifronte emergeva, e la bambinona si scioglieva, oltre che di trucco e parrucco, nella melassa della sua infernale e cerulea bontà. Era con le forze dell'ordine che giocava, imbottita/impettita, la virulenta partita poligamica della seduzione post squarta-mento con parrucca di sghimbe-show. Goyesca e gay esca, molto Pedro, Pedro Pedro… Almodovar.

LA MAGA DI PIAZZA NAVONA
Artritico, poliglotta, canaglia trash, ti arpionava blaterando e borbottando sconcezze, di concerto con il rantolante mantra: “Malocchio malocchio diventerai finocchio!” Che poi ci azzeccasse nei suoi vaticini, ha dell'incredibile! In quel di piazza Navona, proprio davanti al Senato, con il suo stridulo folklore mittleuropa-cortina di ferro, inscenava il suo teatro del maleficio camuffato in beneficio; con lettura di mano con annessa fattura,  cianciando di amicizie altolocate, ti intortava il coattello burinello (del tutto estinto), la merciaia mesciata (allora ancora circolavano), la miliardaria di Giannutri (non ancora botulinata), il geometra di Centocelle (futuro spogliarellista), e i Gommolo di Pontemammolo (già completamente intossicato). Molto sarcastica & indiavolata e alquanto Depero-deperita.

LA CARACCIOLO DETTA GRETA
Esaltato per le sue componenti medianiche dal medium Fellini, spupazzato dai fratelli Corbucci, dai Nando Cicero, e dai Fernando Di Leo, fù definitivamente etero-stipata nel pollaio televisivo di Renzo Arbore come gallina coccodè. Il principe Franco Caracciolo di Torchiarolo (tra i suoi numerosi titoli vi era anche quello di grande di Spagna!), da cinefilo incallito, un giorno era Tallulah Bankhead e l'altro Greta Garbo; terrore dei giornalai reparto porno, faceva incetta di pornografie e di bibbie di Hollywood-Babilonia. Essendo la Bontà la sua qualità più pregiata, si poteva permettere la quantità: stagnari e professori, carrozzieri e astrologhi, elettricisti e stilisti, pistillo e corolla, per lui pari erano. Presenza fissa con spiritati camei, negli sgangherati B movie alla Alvaro Vitali e simili, era invece un convincentissimo attore drammatico. Assolutamente Deleuze e Guattary!

VINICIO DIAMANTI LA ‘DIVIN NEGRESSE'
Quando la checca-danza decade nella Mecca del dress code. Ossia quando il finocchio diventa asparago, ovvero quando Babalù diviene macumba/generone romano. Maschera scipionesca ipso & ipo cibernetica, per la serie (e qui è d'obbligo l'arbasiniano “Eh, signora mia!”) “l'avanspettacolo logora chi non lo fa”. Madre di tutte le diversità in teatro, al cinema fu paraninfa nel Tomas Milian/Monnezza; più prodigiosa dell'oca prodigio, astrologicamente sensitiva, quanto, delabrèe nella cosmesi-costumata fai da te, impeccabile chiappa al top del tip-tap, ris-coperta rin-ceronata dai centri sociali queer: senz'altro, Otto Dix permettendo, più che madam Bovary, madama di Tebe.

MARIA LULU PECORARI DA CORINALDO
Poteva apparire dimessa e remissiva, ma sfoderava una minimalistica grinta, non appena indossava un reggicalze. Plagiata artisticamente da Aldo Braibanti, in carriera nel teatro off off, stanislavskijana anche (sopra tutto!) al momento della spesa a Campo de Fiori, adorato dall'Heldorato dei bancaroli e delle piazzarole del tempo che fu. Cameriera fasbinderiana, protagonista in trance e in trans di film importanti, al Baronato Quattro Bellezze sdottoreggiava più lacaniana che mai. Emula di Caterina Boratto prima maniera, era perfetta nel ruolo della madre nel remake di “Cielo sulla palude”; con le sue sottilissime antenne snidava le femminilità più recalcitranti e recondite. Molto Roberta di Camerino, ma ancor più camerino di Roberta, la segaligna musa di Pierre Klossowski de Rola.

MICHAEL ASPINALL, L'OPERA DE(RI)GENERATA
Tenero tenorino, croccante biscotto pavesino, garrulo cattivone, aduso & colluso a moine miagolanti & eleganti, virtuosa & smorfiosa in mantiglia & calzamaglia, quanti appassiti pomeriggi domenicali, passati al teatro dei Satiri a gongolare, con sue cabalette-Caballé, infiorettature & annaffiature, gorgheggi & solfeggi Verdi-Rossiniani! Sbrigliata, sgolata e porcellanata, di PaoloPoli parfum spruzzata, molto cincallegra delle isole Ebridi /Ibride, molto Sonnambula nel salotto viscontiano a Norma.

GIORGIA O'BRIEN IL BOATOS DELL'UGOLA
Un nome eccentrico a tutela della sua virginale sicilianità, le permise di dotarsi di una allure esotica, così che picciotti e militari di leva non potevano eccepire alcun ché, essendo Giorgia la vedette del cinema-teatro Altieri, tripudiante luogo del becerume misto all'elìte, con tanto di Anna Magnani nell'attico e di vespasiano postato all'ingresso principale (più diritti civili di così!). Sette sipari si aprivano in successione tra i boatos, e Giorgiaaaaaa ringraziava togliendosi la parrucca. Il resto è leggenda: acclamata per le sue portentose doti vocali da Visconti, idolatrata da registi come Patrice Chereau e Zeffirelli, rivisitata, lei vivente, da Giorgio Ginori come una mitologica Coccinelle italiana in un intenso film in bianco e nero: semplice e alla mano, ma all'uopo anche sofisticata signora impellicciata. Molto Liz Taylor in “Improvvisamente l'estate scorsa”.

LA BARONESSA GIOVACCHINA STAIANO, IN ARTE GIO'
Come dire, “La dolce vita” rivelata a Fellini.  Il sussiegoso e querulo Giò, al film partecipa nei momenti di più insana baldoria, tra un Celentano, un Renato Mambor, una Laura Betti, una Lucia Vasilicò, e tutti gli altri dolcevitaioli. La baronessa di Sannicandro, però, dolcevitaiola lo era stato, molto prima di Federico, ai tempi gloriosi di via Margutta. Ma dopo il dolce viene l'amaro, e Giò capovolse Roma a furor di gossip, svelando veli & parrucchini: uno per tutti, quelli dell'onorevole monarchico Cicerone: se non fosse stato per Staiano, non avremo mai saputo che il  Cicerone, era chiamato dai calciatori amichetti suoi… ‘zia Vincenza'. Per anni poi, con la sua micidiale penna manovrata a mo' di fioretto il “Caro Gio…” infilzò le ‘oscillazioni del gusto' nel divano di Oscar Wilde; in seguito, rei-ficata donna, non si fece problemi di appagare libidini a pagamento, e infine, avendo gettato il silicone alle ortiche, chiese di farsi suora carmelitana. Davvero splendidi e commoventi i suoi dipinti sacri dell'ultimo periodo. Chiediamo l'impossibile! Santa subito!

DOMINOT, SANT'ANTONIO JACONO
Eccoti celebrato dai tuoi accoliti, con l'onore e la devozione dovute alla tua santità genettiana. Corribante tra le Afriche del nord e Monmartre, scorazzante tra Le dolci vite e le nove vite, i palazzi Rivaldi, i Coronari, il Baronato quattro bellezze e via Panico. Battezzato da Jean Cocteau e cresimato da Edith Piaf, hai compiuto il miracolo di una unione civile benedetta da Ingrid Bergman e Liza Minnelli. Definitivamente elevato agli onori degli altari e degli altarini al Monserrato art cabaret, troppo geniale per l'italia, nume tutelare della diversità sprecato per Roma, non ci resta che ammirare i tuoi video sul Web, per capire e genuflettersi. In tua memoria verrà fondato il premio ‘Inciucio'; parola se non coniata, da te reinventata e fatta tua. Dominot, hai dato così tanto e chiesto così poco; come faremo, senza di te? firmato, le tue due orfanelle.